venerdì 16 novembre 2007
Gli studi di Schmahmann e Sherman nel 1998 hanno infatti dimostrato che lesioni acquisite del cervelletto in adulti e bambini possono determinare anche una serie di disturbi - che nel loro insieme sono stati definiti come "CCAS: Cerebellar Cognitive Affective Syndrome"- caratterizzati da riduzione delle competenze cognitive generali con specifiche cadute di tipo neuropsicologico, disordini del linguaggio espressivo e disturbi dell'affettività. In breve, i soggetti con lesioni acquisite al cervelletto verosimilmente manifesteranno deficit che vanno oltre quelli motori e potrebbero interessare le capacità di comunicazione e socializzazione. Finora non era però noto se un quadro sintomatologico simile fosse riscontrabile anche in soggetti che presentano una malformazione cerebellare congenita. Lo studio dell'IRCCS "E. Medea", pubblicato sulla rivista "Brain", ha preso in analisi i dati relativi a 27 soggetti portatori di malformazioni congenite del cervelletto. Una dettagliata indagine clinica e neuropsicologica ha consentito di evidenziare un ampio spettro di disordini, confermando così il ruolo centrale del cervelletto nell'acquisizione di competenze non solo motorie ma anche cognitive e affettive. Per esempio, i ricercatori hanno dimostrato il coinvolgimento del cervelletto nel controllo di alcuni compiti cognitivi e neuropsicologici, nel linguaggio, nell'interazione interpersonale, nel controllo e modulazione dell'affettività, nello sviluppo e negli apprendimenti in generale, nella patogenesi di alcune forme di autismo. In particolare, malformazioni coinvolgenti la porzione filogeneticamente più antica del cervelletto - il verme - producono i più importanti disturbi dell'affettività e della partecipazione sociale e determinano lo svilupparsi dei quadri a prognosi più sfavorevole, spesso associati a comportamenti riconducibili allo spettro autistico. Malformazioni coinvolgenti gli emisferi cerebellari sono invece più frequentemente associate a deficit neuropsicologici selettivi coinvolgenti le funzioni esecutive, le competenze visuospaziali ed il linguaggio. I disturbi di tipo motorio sono in genere i meno severi e hanno la tendenza ad un miglioramento lento ma progressivo spesso fino al raggiungimento di una piena funzionalità. Un dato rilevante emerso dal presente studio riguarda l'efficacia della riabilitazione nel trattamento delle patologie neurologiche su base malformativa, anche con manifestazioni precoci molto gravi, e di conseguenza la possibilità che acquisizioni avvengano anche molto tardivamente e in periodi non tradizionalmente considerati suscettibili di possibili ulteriori sviluppi. "Questo studio è il prodotto del lavoro clinico che da sempre caratterizza i centri di riabilitazione de La Nostra Famiglia" - sottolinea Renato Borgatti, Primario dell'U.O. NR1 dell'IRCCS "E. Medea" La Nostra Famiglia e responsabile del progetto di ricerca - "il lavoro infatti nasce da uno sforzo diagnostico molto accurato associato ad una approfondita valutazione del profilo di funzionamento cognitivo e comportamentale, il tutto finalizzato alla realizzazione di un progetto di intervento riabilitativo. E' inoltre il frutto dell'integrazione tra centri ad elevata competenza ma diversa specificità de La Nostra Famiglia, come il Servizio Malattie Rare e di Neuropsicologia dell'età evolutiva del Polo di Bosisio e il Servizio di Neurolinguistica del Polo di San Vito al Tagliamento e Pasian di Prato."
martedì 6 novembre 2007
venerdì 2 novembre 2007
Quale effetto potrà avere sul pubblico la visione della fiction sulla vita di Totò Riina, "Il capo dei capi", di cui è andata in onda sulle reti Mediaset la prima puntata con uno straordinario successo di pubblico: 7 milioni e 146mila spettatori. Sulla confezione del prodotto nulla da dire: storia avvincente e ben recitata. Nella prima puntata per gli esordi delinquenziali del giovane mafioso è stata usata una chiave sociologica che può apparire "giustificazionista": alla morte accidentale del padre, provocata dallo scoppio di un ordigno che il genitore povero stava cercando di smontare per cavarci qualche soldo vendendo le polveri, il piccolo e già saggio Totò afferma che «assassino non fu l'ordigno ma la fame che spinse a maneggiarlo». Ineccepibile contestualizzazione: sono la fame e l'ignoranza il terreno di coltura della mafia. Tuttavia non è possibile non guardare con indulgenza al piccolo Totò colpito da una sfortuna così perfetta. Ancora: il giovanissimo futuro "capo dei capi" trascina il suo magro asinello, con il poco frumento che le sue arse terre hanno saputo dare, fino al mulino per trasformarlo in farina. Chi trova? Un torvo e cattivissimo mugnaio che gli ruba la farina e, scoperto sul fatto, lo copre di violente soperchierie. Cosa fareste voi al posto del piccolo Totò? È chiaro: gliela fareste pagare, al torvo mugnaio. E il mugnaio pagherà, con la vita, in un duello "leale". Tenerissimo, poi, e platonicissimo, come si addice a personcina casta e pura, l'amore del Totò giovanotto con una bella e castissima giovanotta. Aspettiamo di conoscere gli sviluppi nelle puntate a venire. Ci permettiamo, però, di porre una domanda: siamo proprio sicuri che il pubblico più vasto e più distratto, più giovane e meno motivato, riesca a identificare nel Totò Riina della fiction quel sanguinario capo mafioso che ammazzò o fece ammazzare decine di persone e saltare per aria Falcone e Borsellino? O piuttosto quel pubblico non corre il rischio di assistere alla narrazione con lo stesso stato d'animo con cui assisterebbe ai film di Coppola, parteggiando magari per il "padrino"? So bene quale sia l'obiezione di fronte a questa domanda: il pubblico è adulto e sa distinguere. Ma la psicologia sociale ha dimostrato che esistono fasce molto larghe di pubblico, le più fragili culturalmente e socialmente, che non sempre sono in grado di distinguere. E allora deve distinguere la tv che si insinua pervasivamente nelle case di tutti. Soprattutto dei più deboli. Perché una cosa è andare al cinema scegliendo di vedere "il Padrino", una cosa è trovarsi in casa Totò Riina con la faccia simpatica dello sfortunato figlio di Sicilia.
martedì 30 ottobre 2007
Spiega Amy Wetherby, professoressa della Florida State University che ha contribuito alla creazione del portale '' il sito puo' fornire alle famiglie motivazioni per chiamare il dottore e dire sono preoccupato''. C'e' anche chi e' piu' prudente, come Michael Wasserman, pediatra di New Orleans, che teme che le informazioni presenti su autismspeaks.org possano portare i genitori a preoccuparsi eccessivamente per quelli che sono semplici comportamenti di un bambino sano che sta crescendo. Accanto alle definizioni di termini come ecolalia, ovvero la ripetizione involontaria di frasi e parole pronunciate da altri, tratto caratteristico della condizione autistica (nel 75% dei casi), sono presenti video in cui viene messo a confronto il comportamento di bambini sani e di quelli malati. L'autismo mostra molti dei suoi segni distintivi entro il terzo anno di eta', e il video-glossario online serve proprio per imparare a distinguere quelli che sono i comportamenti tipici dei bambini, come il giocare in maniera compulsiva e incontrollata con tazze e stoviglie, o il battere le manine altrettanto convulsamente - da quelli che invece non dovrebbero esserlo. Differenze a volte palesi, altre volte meno, che secondo i promotori del sito meritano di essere spiegate adeguatamente, vista l'importanza della patologia. Sebbene non esista cura per quella che molti considerano una vera e propria condizione piu' che una "malattia" propriamente detta, l'autismo e' un problema complesso, che va individuato subito e affrontato con le dovute misure riabilitative per diminuire o contenere l'effetto degenerativo sulla vita sociale e personale. Per l'Italia segnaliamo l'attivita' portata avanti dall'Associazione Autismo Italia, una associazione nazionale costituita da membri individuali, ''rappresentati da persone con autismo e loro genitori o parenti stretti, e da membri affiliati, rappresentati da altre organizzazioni non lucrative locali con analoghe finalita''. Autismo Italia contribuisce alla sensibilizzazione e alla informazione corretta sulla natura del disturbo autistico attraverso la diffusione di documenti e materiale informativo, per le famiglie, come l'opuscolo informativo per i fratelli e compagni di scuola "Mio Fratello e' Diverso", e l'organizzazione di conferenze, seminari e corsi di formazione per professionisti, operatori e genitori. Gli obiettivi dell'associazione coincidono con i principi affermati nella "Carta dei diritti delle persone autistiche" presentata dall'Associazione Internazionale Autisme Europe e accolta dal Parlamento Europeo nel maggio 1996, annessa allo statuto. I membri devono accettarne senza riserve lo statuto, in particolare la definizione di autismo indicata nelle classificazioni internazionali ICD 10 e DSM IV. Autismo Italia e' inoltre membro della FISH ( Federazione Italiana Superamento Handicap) e del Consiglio nazionale delle associazioni di disabili, nonche' membro effettivo dell'associazione internazionale "Autisme Europe", che riunisce oltre 80 associazioni nazionali e regionali di genitori di persone autistiche di 30 paesi europei, assicurando un collegamento tra associazioni e governi, istituti di ricerca e di assistenza, e le istituzioni europee o internazionali, con la quale collabora attivamente allo scopo di difendere i diritti e le pari opportunita' delle persone autistiche.
martedì 9 ottobre 2007
Aspetti critici nella comunicazione medico-paziente
venerdì 28 settembre 2007
Foto da Flickr
Eccolo che tende l'agguato, il senso di colpa, il peggior alleato della sfida educativa dei genitori. Fissata una regola, questa va rispettata. E se viene infranta? Deve scattare la punizione. “Ma i genitori hanno difficoltà a punire i figli, non sanno reggere l'urto quando la regola viene infranta. Applicando un castigo si sentono soprattutto in colpa”, spiega don Nicola Giacopini, sacerdote salesiano, docente di Psicologia della Famiglia presso l'Isre, la Scuola di Formazione presso l'Istituto salesiano San Marco della Gazzera.Invece, spiega don Giacopini, è importante che i genitori conoscano questa fondamentale verità: «E' più difficile per un genitore dire un no che per un figlio sentirselo dire. Mentre il genitore sarà divorato dal senso di colpa è molto probabile che il figlio dopo un po' se ne sia già dimenticato». Perché il problema sta più nei genitori che nei ragazzi; genitori che, dopo aver pronunciato un sacrosanto no, stanno lì ad arrovellarsi e a chiedersi: "chissà lui come mi vede ora". E invece, sapendo che quel no pesa meno di quanto si creda, risulterà più semplice punire un figlio che sgarra.Più semplice ancora se si considererà la punizione come un diritto del figlio. Proprio così: il figlio ha diritto di ricevere il giusto castigo per la malefatta combinata.Questo perché, spiega don Giacopini, la punizione contiene in sé la riabilitazione: ho sbagliato, vengo punito, mi pento dell'errore e ricomincio da zero annullando quella macchia. «Si deve far capire che quel che si fa ha delle conseguenze. Ma al tempo stesso si deve trasmettere il messaggio al ragazzo che come ha fatto del male così può fare anche del bene: può riabilitarsi». Si tratta, spiega il salesiano, del diritto/dovere di restituzione. «La punizione va data, è per lui un'occasione di crescita. In questo senso è un diritto».
giovedì 27 settembre 2007
Foto da Flickr
Secondo le statistiche del progetto Arno, in Italia nella fascia d'età compresa tra i 19 e i 44, una ogni 18 donne prende pasticche e gocce. Nei maschi la percentuale si riduce, ma il dato resta impressionante: un uomo su 33 fa regolarmente uso di psicofarmaci. Un disagio generazionale crescente che ha convinto molti atenei ad aprire centri di ascolto sul modello dei counselling anglosassoni. In pochi anni gli psicologi e gli psichiatri hanno avuto un enorme boom di richieste, tanto che le liste d'attesa possono durare settimane.Gli studenti discutono dei loro disturbi persino in forum ad hoc su Internet. "I segni di un'infelicità diffusa", racconta Paolo Valerio, ordinario di Psicologia clinica alla Federico II che quest'anno ha effettuato 224 colloqui con oltre cinquanta studenti: "Anche i docenti più attenti possono accorgersi dei disturbi. Da semplici blocchi dell'apprendimento a problematiche più serie di tipo relazionale. I casi più diffusi riguardano questioni edipiche, sintomi fobico-ossessivi, presenza di disturbi legati all'alimentazione e all'identità psico-sessuale". A Napoli il centro è stato usato anche da decine di giovani con tendenze transessuali, ma gli psicologi danno una mano anche agli allievi dell'Accademia aeronautica di Pozzuoli. "Ragazzi sani che aiutiamo ad adattarsi alla nuova vita militare". Uno spaesamento devastante può invece investire i fuorisede, che senza famiglia e senza amici sono tra i più soggetti a crisi depressive e d'identità. All'uscita i laureati possono avere disagi causati dalla mancanza di prospettiva lavorativa, dall'impossibilità di creare una vita autonoma e dalla distanza tra ambizioni e realtà. "Si semplifica qualsiasi malessere, si medicalizzano persino la melanconia e la tristezza. Si prescrivono antidepressivi anche se il paziente è normalmente dispiaciuto per un lutto di una persona cara. Si vuole una soluzione senza il rischio di mettersi in gioco con una psicoterapia lenta e difficile, si rifiuta un impegno emozionale". Soprattutto le donne usano le sostanze psicotrope per combattere stress e disturbi della personalità. Senza alcun controllo: il collettivo studentesco della facoltà di Psicologia della Sapienza ha denunciato che persino gli studenti di psicologia fanno uso di psicofarmaci in quantità industriali "senza neanche andare dal dottore", e hanno chiesto al preside l'apertura di uno sportello informativo per combattere il fenomeno.A Milano gli studenti della Bicocca hanno messo in piedi un forum in cui si chiacchiera anche delle esperienze con il Dumirox e il Prozac. Molti li hanno provati, altri li assumono regolarmente. "Ti senti allegro, ma sai che non dovresti esserlo, come se ti fosse imposto dall'esterno," racconta un ragazzo: "Il mio psichiatra mi ha detto: 'È normale'. Sono andato avanti per due anni". Mathi, dopo due anni di psicoterapia, affianca i farmaci, e ammette: "La mia vita è cambiata davvero, come aveva promesso il medico. Le pillole hanno cancellato le mie paure". Nel capoluogo lombardo sono soprattutto le donne ad assumere antidepressivi, anche se solo il 20 per cento ha davvero una malattia mentale. C'è chi parla dei farmaci che agiscono sulla serotonina come "di una vera e propria manna dal cielo". Il professor Giuseppe Remuzzi qualche mese fa sosteneva che anche i genitori premono per il consumo dell'antidepressivo, e se il medico non lo prescrive sono pronti a bussare a un'altra porta.
giovedì 12 luglio 2007
Foto da Flickr
Le soffocanti facciate di cemento grigio che fino a qualche anno fa affollavano le periferie delle grandi città stanno lentamente scomparendo, ma nella maggior parte dei complessi residenziali non ci sono ancora molte tracce della personalità individuale di chi li abita. Soltanto negli ultimi anni si è fatta strada gradualmente nell'edilizia residenziale la consapevolezza che le persone non vogliono essere fruitori passivi del proprio spazio vitale. Anche nella più moderna delle case, non riusciamo a sentirci a nostro agio, se non abbiamo alcuno spazio di creazione. Ciò di cui abbiamo bisogno, invece, è la possibilità di imprimere alla nostra abitazione un'impronta personale: dobbiamo farla «diventare nostra», dicono gli psicologi. Questo costringe alcuni architetti a riconsiderare la questione, per lo meno tra coloro che finora avevano progettato secondo i propri canoni estetici e temevano che i residenti potessero poi «deturpare» le loro creazioni.
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Lo studio caso-controllo ha riguardato bambini nati al Kaiser Permanente Northern California nel periodo1995-1999. I casi erano rappresentati da 403 bambini con una diagnosi di autismo, registrati nel database del Kaiser Permanente. I 2100 controlli sono stati scelti in maniera casuale tra i bambini senza diagnosi di autismo. Le diagnosi di infezione nei primi due anni di vita sono risultate leggermente meno frequenti nei bambini con autismo che nei controlli ( 95.0% vs 97.5% ). In particolare le infezioni delle vie respiratorie superiori erano significativamente meno frequenti, mentre le infezioni delle vie genitourinarie erano più frequenti nei bambini con autismo. Una frequenza di infezione leggermente superiore per i bambini autistici è stata registrata nei primi 30 giorni di vita ( 22.6% vs 18.7% ). I dati suggeriscono inoltre che i bambini con autismo potrebbero avere un tasso di infezione più alto nei primi 30 giorni di vita e che durante i primi due anni potrebbe essere a più alto rischio per alcuni tipi di infezione e a più basso rischio per altri. Ulteriori studi volti ad indagare le associazioni tra infezioni nel periodo prenatale e della prima infanzia e l’autismo potrebbero risultare utili per chiarire il ruolo delle infezioni e del sistema immunitario nell’eziologia dei disordini di tipo autistico.
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Il master avrà inizio il 14 febbraio 2008 e terminerà a dicembre 2009. Al termine del percorso formativo biennale si otterrà il diploma di Master e l’idoneità all’esercizio della pratica di mediatore familiare o di mediatore comunitario. Oltre alla attività d’aula, di gruppo e di laboratorio, sono previste esperienze pratiche come stage presso poli di mediazione esterni con la supervisione di un membro dello staff, sia in Italia che all’estero o con un mediatore esperto dello staff presso i servizi di mediazione dell’Università Cattolica a Milano o a Roma. Direttori scientifici del master saranno Vittorio Cigoli, ordinario di psicologia clinica e Giovanna Rossi, ordinario di sociologia della famiglia. L’attività formativa biennale è finalizzata all’acquisizione di competenze nella gestione del processo di mediazione familiare all’interno di conflitti tra ex-coniugi e nella progettazione e realizzazione di interventi di mediazione comunitaria in presenza di conflitti nelle organizzazioni e sul territorio. Le informazioni possono essere scaricate da internet al sito www.unicatt.it oppure richieste presso la segreteria del Centro di cultura dell’Università Cattolica in Piazza Orsini (0824/29267).
lunedì 9 luglio 2007
L'essere umano perfetto non soffre di disturbi nel flusso di energia, poiché tutti i livelli funzionano in maniera armoniosa. Il corpo, i sensi, la mente, la coscienza e le parti di noi che trascendono la descrizione, esprimono insieme la meraviglia e la bellezza della vita. I disturbi a qualsiasi livello possono influire sulla salute.Il corpo, la parte più accessibile del nostro essere, è il riflesso delle nostre parti meno tangibili, un'espressione di tutte le esperienze vissute e del modo in cui le abbiamo assimilate. Ha bisogno di cure adeguate che possono mancare poiché la mente quotidiana va continuamente alla ricerca di nuove esperienze. L'Ayurveda insegna che la mente quotidiana è dotata di qualità, e di conseguenza è fisica, sebbene più sottile del corpo. Al pari del corpo, và equilibrata perché funziona a dovere. La mente è più veloce ed esigente, quindi più difficile da tenere sotto controllo. Secondo l'Ayurveda tutte le malattie sono psico-somatiche. Sia la mente che il corpo ne risentono e si dovrebbe tener conto di entrambi nel ristabilire la salute e nel mantenere il benessere, in quanto i benefici a un livello dell'essere si riflettono anche agli altri livelli.
Il Relatore: Il Dottor Robert E. Svoboda , scrittore e medico ayurvedico (b.a.m.s.) statunitense, è stato il primo occidentale a laurearsi dottore in ayurveda in un'università indiana ed è tuttora un collaboratore del famoso Dottor Vasant Lad (B.a.m.s./M.a.s.c.) dell'Ayurvedic Institute di Albuquerque, New Mexico.
Traduzione per i partecipanti dall'inglese a cura della dott.ssa Sadbhawna Bhardwaj medico ayurveda di New Delhi, vice-presidente e insegnante nei corsi dell'Ass. Cult. A.I.M.A. Ayurveda di Milano.
Attestato di Partecipazione rilasciato alla fine del seminario e firmato dal Dottor Svoboda.
Una vita con gli animali. Cosa hanno in comune gli autistici e gli animali? Temple Grandin, autistica, racconta come furono gli animali a salvarla perché «noi autistici riusciamo a pensare come gli animali» e l’autismo è «una sorta di stazione intermedia sulla via che porta dalle bestie all’uomo». Scritto con Catherine Johnson (madre di due ragazzi autistici) il libro insegna a comunicare con gli animali. E mostra lo straordinario mondo interiore di una donna che si è trasformata dalla ragazzina «manesca» con i compagni che le davano della ritardata alla docente di zoologia della Colorado State University.
giovedì 5 luglio 2007
Foto da Flickr
Il farmaco in questione, causando particolari reazioni biochimiche nel cervello, permette ad un individuo di cancellare i brutti ricordi. Lo studio svolto dall’Università di Harvard e dalla McGill University di Montreal rivela che, se somministrata in abbinamento ad una adeguata terapia psichiatrica, la “pillola” consente di bloccare i meccanismi biochimici che normalmente vengono attivati da quegli stati di depressione comunemente definiti “brutti ricordi”. Se si somministra il farmaco (a base di propranololo) nel momento stesso in cui il paziente sta ricordando qualcosa di spiacevole, quel ricordo si affievolisce. Seguendo una terapia precisa, viene cancellato. Questa ricerca ha coinvolto 19 volontari, vittime di violenza sessuale o di incidenti violenti. A loro è stato chiesto di descrivere il momento in cui hanno subito il trauma, oltre 10 anni prima. Alcuni hanno preso il farmaco, altri un placebo, e dopo una settimana di trattamento chi aveva assunto il medicinale ricordava l’evento con minor stress rispetto agli altri. Naturalmente questo articolo vuole essere semplicemente informativo. E’ importante precisare che la farmacologia non è una competenza psicoterapeutica. Inoltre l’uso di un farmaco con i principi attivi come quelli appena sinteticamente descritti, è da valutare attentamente in rapporto al soggetto ed alla patologia specifici.
L'autismo è un disturbo dello sviluppo che colpisce un bambino su mille. Un tempo noto come sindrome di Kanner, dal nome del pediatra che per primo lo descrisse negli anni quaranta, è oggi considerato un disturbo su base biologica. Anche se le causa non sono state ancora individuate con certezza, è ormai accettata una componente genetica, mentre è stata decisamente abbandonata la teoria che considerava questo disturbo dello sviluppo il risultato di un rapporto negativo con i genitori. Il master preparerà una figura professionale specializzata, un educatore con conoscenze e competenze per operare in strutture di terapia e riabilitazione pubbliche o private. Corso post-laurea di primo livello, oltre alle 400 ore di lezioni ne prevede altrettante di stage. Verranno trattati i temi della diagnosi, delle terapie di supporto e delle modalità di intervento educativo-riabilitativo, per migliorare il comportamento e la comunicazione. Inoltre, per la prima volta, verranno introdotte alcune lezioni sui diritti e le pari opportunità delle persone con autismo, tenute dai maggiori esperti del settore, provenienti dalla rete della Federazione italiana superamento handicap (FISH). L'obiettivo è quello di dare una visione globale degli strumenti a disposizione degli operatori e dei genitori per migliorare la qualità di vita e realizzare le pari opportunità delle persone con autismo di ogni età, grazie a una alleanza in cui ognuno, operatore e genitore, contribuisce con le proprie forze e le proprie esperienze.La tassa di iscrizione è di 6000 euro. Sono previste borse di studio. Le domande dovranno essere inviate entro il 20 agosto all'Università di Siena, mentre il corso inizierà nel mese di settembre. A medici e psicologi è rivolto in particolare un corso di perfezionamento più breve.
Per informazioni sulla didattica: dipartimento di Scienze umane e dell'educazione di Arezzo, 0575 926283, dragoni@unisi.it, informazioni sulle iscrizioni 0577 232327, postlaurea@unisi.it. Il bando è consultabile all'indirizzo www.unisi.it/postlaurea/master.htm.
Il corso è organizzato in collaborazione con l'istituto privato di riabilitazione "Madre della Divina Provvidenza" di Arezzo, la fondazione "Opera Santa Rita" di Prato, due strutture dove si svolgerà il tirocinio, e con Autisme Europe, Autismo Italia e Federazione italiana superamento handicap.
giovedì 14 giugno 2007
mercoledì 13 giugno 2007
Cosa vive un bambino in ospedale? Quali sono le sue paure? Queste le domande a cui cerca di rispondere questo libro che riporta i dati di una ricerca “sul campo”, che dà voce ai piccoli ricoverati. Ai bambini è stato chiesto di partecipare a un concorso in cui potevano esprimere con disegni, poesie o temi il loro modo di vivere la malattia e l’ospedalizzazione. Grazie a 50 collaboratori dell’AGESO (Associazione Gioco e Studio in Ospedale) sono stati contattati, in vari ospedali, 379 bambini che hanno inviato i loro elaborati alla Casa Editrice. Dai loro lavori e dalla riflessione degli autori, nasce questo libro che è una testimonianza preziosa sui vissuti dei bambini in ospedale. Si rivolge agli esperti, agli educatori, ai pedagogisti, ai pediatri, agli psicologi dell’età evolutiva, ma anche ai genitori dei bambini che vivono l’esperienza della malattia e del ricovero.Ti racconto il mio ospedale vuole però dare anche indicazioni su cosa fare per migliorare la vita in corsia e aiutarci a non lasciare i bambini da soli. Emerge con chiarezza che quando il bambino ha l’opportunità di esprimersi e, soprattutto, incontra degli adulti disposti ad ascoltarlo, riesce a far fronte alle emozioni penose collegate alla malattia, che diventa un’occasione di crescita, nella misura in cui lo porta ad avere meno paura del suo mondo interiore.
Autori del libro:
Federico Bianchi di Castelbianco, psicologo, psicoterapeuta dell’età evolutiva, direttore e responsabile del Servizio di Diagnosi e Valutazione dell’Istituto di Ortofonologia, Roma.
Michele Capurso, laureato in Pedagogia, ricercatore in Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Perugia.
Coordina le attività formative per l’Associazione «Gioco e Studio in Ospedale» di Genova.Magda Di Renzo, laureata in Filosofia e in Psicologia, analista junghiana, membro del CIPA(Centro Italiano di Psicologia Analitica) e dello IAAP (International Association for Analytical Psychology). Responsabile del Servizio di Psicoterapia dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Istituto di Ortofonologia di Roma.
E ora, la parola a una piccola ricoverata, Francesca, che scrive:
"La mia malattia è come una magia…Forse solo un mago me la può portar via:è una febbre molto noiosache rende la giornata fastidiosa.Ma la mia pelle accaldata e il mal di testanon mi impediscono di far festa:col mio coraggio e il mio desiderionessun malanno fa di me sul serio!Anche in ospedale il sogno mi fa compagniae io vedo una spiaggia dipinta d’allegria, dove mi reco insieme ai miei cariper rendere dolci i momenti più amari".
giovedì 31 maggio 2007
Mostrami le mani e ti dirò che cosa farai. È quel che promette uno studio condotto da alcuni ricercatori dell’Università di Bath, in Gran Bretagna, che mette in relazione la lunghezza di due dita, l’indice l’anulare, con lo sviluppo di particolari capacità. In un articolo pubblicato sul British Journal of Psychology, i ricercatori britannici sostengono la possibilità, a partire dalla osservazione delle mani, di svelare anticipatamente le attitudini dei più piccoli. Secondo Mark Brosnan, direttore del dipartimento di Psicologia, un indice lungo preannuncerebbe buoni risultati nelle materie letterarie mentre un anulare lungo buone performance in matematica. La ragione di ciò dipenderebbe dai valori ormonali - testosterone ed estrogeni – ai quali si è esposti durante lo sviluppo uterino. Il testosterone avrebbe un ruolo nella promozione dello sviluppo di aree del cervello legate alle capacità spaziali e matematiche mentre gli estrogeni avrebbero influenza sulle aree cerebrali associate alle abilità verbali. Questi stessi ormoni, poi, avrebbero un ruolo determinate anche per quanto riguarda la lunghezza delle dita indice e anulare.
martedì 8 maggio 2007
DATI STATISTICI SULL'USO DI INTERNET TRA I GIOVANI
mercoledì 4 aprile 2007
L'intuito è femminile
sabato 31 marzo 2007
Foto by Flickr
Molti bambini con autismo presentano mutazioni spontanee nel loro DNA. Questo avviene più spesso nei casi sporadici che nei casi familiari o nei bambini sani. I Ricercatori hanno infatti scoperto che almeno il 10% dei bambini con autismo portano un’alterazione nel loro DNA che non è presente nei loro genitori ed in una percentuale molto più alta di quella osservata nei bambini sani. Fino ad oggi, la maggior parte degli studi di genetica sull’autismo hanno incentrato l’attenzione sulle famiglie con bambini autistici multipli. L’autismo sporadico, geneticamente distinto dal tipo ereditario, è la più comune forma di malattia. I Ricercatori del Cold Spring Harbor Laboratory, utilizzando una tecnologia ad alta risoluzione hanno compiuto una scansione dei genomi di 264 famiglie: 118 famiglie con un solo bambino a cui è stato diagnosticato l’autismo ( famiglia singola ), 47 famiglie con più bambini affetti da autismo ( famiglia multipla ) e 99 famiglie di controllo con nessun caso di autismo. I Ricercatori hanno riscontrato 17 variazioni numeriche di copia de novo in 16 individui, 14 dei quali con autismo. La probabilità di presentazione delle mutazioni nei pazienti che facevano parte del gruppo famiglia singola era 10 volte più elevata rispetto alle famiglie di controllo, e 5 volte nei pazienti del gruppo famiglia multipla. Questo dato fornisce elementi a sostegno della distinzione tra i casi familiari ed i casi sporadici di autismo.
Per ulteriori informazioni:
venerdì 30 marzo 2007
Foto by Flickr
David Klonsky, un ricercatore che ha passato cinque anni a studiare il motivo per cui la gente si infligge ferite e lesioni, ha detto che dallo studio risulta che oggi negli Usa un adolescente su sei tiene comportamenti autolesionisti e li utilizza per riuscire ad affrontare emozioni particolari, stati depressivi o di ansia. Laura McIntyre, una studentessa di New York è una di questi. Aveva circa 15 anni quando ha cominciato a utilizzare lame di rasoio per tagliarsi le braccia dopo che suo fratello era finito in prigione e suo padre era partito per andare a combattere in Iraq con l'esercito Usa. La ragazza dice che il dolore le serviva per superare l'angoscia. "Ho scoperto che mi distraeva dal trauma emotivo. Non avevo manie di suicidio ma ero depressa", ha detto McIntyre che oggi ha 20 anni. "All'inizio riuscivo a nascondere i tagli portando maniche lunghe. Tagliarmi era l'unica cosa che volevo fare", ha aggiunto. Con l'aiuto di un terapista, McIntyre è riuscita ad abbandonare i comportamenti autolesionisti circa due anni fa. Attraverso la sua ricerca, Klonsky, professore di psicologia alla Stony Brook University ha stabilito che l'autolesionismo è legato alla depressione e non al suicidio. Lo studioso, la cui ricerca sarà pubblicata nel numero di questo mese della rivista specializzata Clinical Psychology Review, ha detto che il numero di persone che si procurano lesioni sta aumentando anche a causa della pubblicità di cui gode oggi questo tipo di comportamento. "Riferimenti all' autolesionismo si trovano nei testi di canzoni e molti attori e musicisti parlano apertamente della loro esperienza di autolesionismo", ha detto Klonsky, aggiungendo: "La maggior parte degli adolescenti oggi ne sente parlare e alcuni decidono di provarlo".
giovedì 29 marzo 2007
Come si possono cambiare atteggiamenti e opinioni
Sognamo quello che leggiamo
L'amore secondo la scienza
lunedì 26 marzo 2007
Foto by Lorenz L Si vedono sempre più spesso uomini attorno ai settant’anni , e anche di più, accompagnati da ragazze ventenni. Loro stessi si vestono come ventenni, praticano sport intensamente, parlano come i loro nipoti anche se cercano di nascondere il più possibile l’essere nonni: sono persone colpite da giovanilismo. Sono giovaniliste quelle persone che, pur non essendo giovani dal punto di vista anagrafico, vogliono comunque appartenere alla categoria. In genere succede nella fase di passaggio tra l’età adulta e l’età anziana, che per convenzione è fissata a 65 anni. Un’età delicata. C’è una specie di fobia generale per la parola “vecchio”, per esempio, sempre più spesso sostituita da parole come senior e simili. Anche la Società Internazionale di Geriatria , riconoscendo il problema, ha da poco suddiviso la vecchiaia in tre fasce: young old, i giovani anziani, cioè quelli tra i 65 e i 75 anni; medium old, tra i 75 e gli 85 anni; old old, i maggiori di 85 anni. Questa suddivisione attenua la fase di passaggio: non si diventa subito vecchi. Ma ha anche qualche aspetto pratico: negli Stati Uniti, per esempio, gli young old si lamentavano di essere ricoverati negli stessi reparti ospedalieri dei novantenni. Inoltre le aspettative di vita sono molto aumentate nell’ultimo mezzo secolo, e anche per questo molti medici propongono di spostare l’inizio della vecchiaia a 70 anni. Le resistenze psicologiche all’invecchiamento sono infinite e anche il giovanilismo è un meccanismo di difesa. C’è chi fa palestra, chi mette in mostra il corpo, chi si veste con abiti da adolescenti, chi ricorre alla chirurgia estetica. Ma soprattutto i giovanilisti ostentano le proprie capacità sessuali. Uno dei segnali d’ingresso nella fase anziana è quello di non riuscire più a rispondere agli stimoli della sessualità. Per “dimenticare” il problema non solo si ricorre a farmaci tipo Viagra, ma si ostenta un’attenzione forzata all’altro sesso: battute, sbirciate, inviti a donne molto più giovani e appariscenti per dimostrare le proprie capacità di conquista. Il sesso diventa una specie di fissazione, l’unica chiave di interpretazione della realtà, anche se spesso ciò non è palesemente visibile. Queste persone non riconoscono alla vecchiaia alcun significato. Non capiscono che sono belle anche alcune “cose da vecchi”, che si può sedurre anche da anziani ; non si è seduttivi solo quando si è giovani. Ogni età è degna di essere vissuta con tutte le caratteristiche tipiche. Un uomo, o anche una donna, di 70 anni ed oltre dovrebbe chiedersi qual è il suo ruolo e trovare gratificazioni non legate soltanto al corpo.
CONVEGNO SULLA CONDIZIONE ANZIANA Il 28 marzo 2007 a Bologna, il Centro Maderna – documentazione, formazione e ricerca sulla condizione anziana- organizza un convegno sul tema della memoria per il benessere dell’anziano. Ricordo quindi sono.
Foto by torakikiLuogo Evento: Centro RubbiBolognaEmilia RomagnaItalia
Ente Organizzatore: Centro di Documentazione Emilio ed Isa Rubbivia Altura, 9/6 – 9/740100BolognaEmilia RomagnaItaliaTelefono: 051 454224 Fax: 051 6278356
email: "info@centrorubbi.it"
venerdì 23 marzo 2007
Come crescere insieme nel rapporto di coppia
Dare spazio all’amore: trovare sempre nell’arco della giornata il tempo e il modo per dire al proprio partner “ti amo”. Può sembrare banale, ma è importantissimo farlo, ovviamente a condizione di sentirlo. Qualsiasi modo va bene (non ci sono limiti alla fantasia): può bastare un fiore, una carezza, un pensiero gentile, una telefonata, una sorpresa o piccole attenzioni, che faranno capire alla persona che amate quanto è importante per voi. Dopotutto è il pensiero che conta! Essere coerenti: l’amore va soprattutto dimostrato e non solo dichiarato. Comportarsi in maniera coerente rispetto al punto precedente è una strategia salva rapporto di importanza cruciale se si vuole evitare di creare contraddizioni tra quello che viene detto a parole e ciò che viene comunicato con i fatti e le azioni quotidiane. Attenzione, dire al proprio partner “ti amo” e poi non essere presenti nei momenti importanti e nelle decisioni che contano nella vita di coppia, equivale a mentire spudoratamente. Può essere utile a questo punto ricordare il primo assioma della comunicazione che afferma…“Non si può non comunicare e tutto comunica… ogni comportamento è comunicazione e la comunicazione è comportamento”. Comunicare in maniera aperta e leale: in situazioni di divergenza di opinioni, di contrasto e/o di conflitto, è importante confrontarsi serenamente e ascoltare con calma, rispetto ed empatia anche le ragioni e i punti di vista dell’altro senza alcun pregiudizio, e soprattutto con la piena consapevolezza che l’apparente vittoria dell’uno sull’altro equivale in realtà alla sconfitta di entrambi. Se possibile, non lasciar trascorrere più di 24 ore dall’eventuale litigio per cercare di risolvere il problema o di superare al più presto la situazione conflittuale. E’ bene tener presente, inoltre, che i contrasti e i conflitti, peraltro assolutamente normali in una coppia, possono rappresentare un momento di riflessione, di maggiore conoscenza dell’altro, di confronto e, quindi, di crescita e di evoluzione della coppia, ma possono anche trasformarsi, come più spesso facilmente accade per mancanza di intelligenza sociale, in una trappola mortale per il rapporto che rischia di svuotarsi di ogni sentimento e di rimanere soffocato da violenti scontri diretti ad annientare psicologicamente l’altro. Pertanto, quando ci si ritrova in situazioni di esasperato conflitto è importante domandarsi se si vuole costruire un rapporto migliore o si vuole distruggere quello che si è già costruito. Riconoscere i propri errori: sembra facile, ma non è da tutti riuscire a farlo perché riconoscere di aver sbagliato richiede umiltà, coraggio e soprattutto intelligenza sociale ed emotiva. Un comportamento socialmente competente ed emotivamente intelligente prevede una strategia infallibile in tre punti: a) riconoscere i propri errori senza mezzi termini; b) scusarsi sinceramente per l’accaduto; c) impegnarsi a non ripetere l’errore commesso. Le coppie che hanno fatto proprio questo fondamentale principio di comunicazione interpersonale, hanno vita lunga, quelle che invece prediligono giochi pericolosi come “la caccia alle streghe”, “nascondersi dietro un dito” e “il gioco al massacro (è tutta colpa tua se…)” hanno i giorni contati, insieme alla certezza di soffrire. Imparare a perdonare: l’amore è anche e forse soprattutto capacità di perdonare. Il perdono è un atto d’amore che appartiene alle persone generose di cuore. Chi non sa perdonare, non può dire di saper veramente amare. Ci sono situazioni in cui il perdono, di per sé difficile da concedere, rappresenta l’unica via d’uscita, da pagare a volte a caro prezzo, ma è un investimento pur sempre conveniente se si tratta di vero amore. In caso contrario, negato il perdono, ci si troverà sicuramente pieni di orgoglio, ma allo stesso tempo più vuoti dentro nell’attesa di potersi “leccare” la propria ferita narcisistica. Rinunciare alla perfezione: ricordarsi che nessuno è perfetto è una regola d’oro spesso dimenticata che, se puntualmente osservata, può evitare inutili tensioni, ansia da prestazione e stress nella coppia. Se non accettiamo i limiti del nostro partner o non tolleriamo i suoi difetti e le sue imperfezioni, con molta probabilità non lo amiamo abbastanza o forse abbiamo (e il ché è ancora più grave) una visione distorta e infantile dell’amore. Questo potrà generare anche aspri conflitti nella relazione, ma a quel punto conviene interrogarsi sulle ragioni di fondo della propria scelta e darsi delle risposte coerenti. Insomma, pretendere la perfezione nel rapporto di coppia o dal proprio partner equivale a chiedere a un cavallo di volare…non sarà mai capace di farlo! Bisognerebbe, invece, imparare ad accettare i propri limiti e quelli altrui e saper essere soprattutto tolleranti per quello che non ci piace in noi o nella persona con la quale si è deciso di condividere un progetto di vita. Non è sicuramente facile, ma è prova di grande maturità e di buon equilibrio interiore. Far prevalere il “senso del noi”: sembra banale dirlo, ma la coppia è composta da due persone con bisogni, motivazioni, obiettivi, interessi, aspettative e desideri diversi; e fino a quando nella coppia prevarranno interessi personali e forme di egoismo, comunque espresse, non si andrà molto lontano sul difficile cammino della crescita emotiva, dell’amore e della felicità. Questo traguardo, che ogni coppia desidera raggiungere, è invece possibile se i partner sono entrambi capaci di creare da subito quel magico “senso del noi” che è un sentimento profondo, basato sulla condivisione di tutto ciò che crea e rinforza un legame affettivo, e che va alimentato costantemente nel tempo.