venerdì 8 dicembre 2006

DOLORE FISICO E "DOLORE" DELL'ANIMA.
In seguito ad un'indagine presentata a Parigi, al diciannovesimo Congresso Europeo di Neuropsicofarmacologia, è emerso che molte volte il dolore fisico è un sintomo strettamente collegabile al malessere psicologico, ma che questa correlazione è troppo spesso ignorata dai pazienti e dagli stessi medici.

Foto by: Notturno

Secondo un'indagine effettuata dai ricercatori americani diretti dal professor Lawrence Wu, della Duke University, in North Crolina, è emerso che il dolore fisico, insieme alla sensazione di non essere a posto e alla sensazione di non saper fare le cose, è uno dei tre sintomi principali della depressione e del disturbo d'ansia. Inoltre, gli psichiatri americani dell' Indiana Universiti School of Medicine hanno constatato che, poichè malessere fisico e disagio psicologico sono tra loro interconnessi, intervenendo sul disagio psichico, si può eliminare anche il disagio fisico. Tutto questo grazie ad un intervento terapeutico che agisce sulla noradrenalina, una sostanza che regola l'umore e, contemporaneamente, trasmette al cervello la sensazione di dolore. In seguito a questi studi si puo' quindi consigliare questo tipo di intervento a chi presentasse problemi fisici e depressivi, tra loro ipotizzabili come connessi.

A mio parere, questa indagine, non fa altro che confermare le tante ipotesi sull'esistenza de disturbi psicosomatici: la psicosomatica è una branca della psicologia medica volta a ricercare la connessione tra un disturbo somatico (anche generico) e la sua eziologia spesso di natura psicologica. Questo indica, appunto, una strettissima connessione tra corpo e mente. Per quanto riguarda ciò che penso io, al giorno d'oggi troppe poche persone riescno a collegare un loro disturbo fisico, con un loro disturbo mentale-psicologico. Bisognerebbe cercare di rendere questo fenomeno piu chiaro, così che molte piu persone sarebbero in grado di riconoscere in loro un disturbo psicosomatico.

RICORDI: PIU' PRESENTI DEL PRESENTE!
Secondo una ricerca condotta dalla rivista "Riza Psicosomatica", 8 italiani su 10 sarebbero colpiti dai ricordi e , più che viversi il momento presente, si aggrappano agli avvenimenti passati, facendosi da questi influenzare.

Foto by: Noek

La ricerca condotta dalla rivista "Riza Psicosomatica" ha intervistato 986 italiani di un'età compresa tra i 25 e i 65 anni e, con i risultati di queste interviste, si è arrivati alla conclusione che il 59% degli intervistati sostiene che pensare al passato non permette di essere felici nel presente. Coloro che rientrano in questa percentuale, infatti, sostengono che libri letti, foto scattate, eventi vissuti, amori finiti, lutti, canzoni legate a momenti importanti e oggetti un tempo appartenute a persone scomparse costituiscano tutti stimoli che fanno nascere ricordi dolorosi del passato. Ciononostante, secondo queste persone, è quasi impossibile evitare questi stimoli e non esitano a rievocare il loro passato. Nella classifica dei ricordi più brutti degli italiani il più comune è la morte di un genitore (26 per cento), ma anche il tradimento subìto (19 per cento) ma anche la fine del proprio matrimonio (14 per cento), un fallimento sul lavoro (10 per cento) o un amore importante perduto in gioventù (8 per cento). Questi stessi soggetti, per cercare di far fronte all'emergere di questi ricordi dannosi, cercano di distrarsi guardando la televisione, facendo attività fisica, lavorando molto più del necessario e , nei casi più gravi, iniziando a fare uso di alcool e psicofarmaci.

Da questa intervista sono emersi anche ricordi belli e i più menzionati sono stati: al primo posto la nascita del figlio, al secondo posto il giorno del proprio matrimonio e al tezo posto un viaggio considerato bellissimo.

Secondo la mia opinione, questo forte legame tra presente e passato, caratterizzante gran perte delle persone, non è altro che la forte attività della memoria episodica, cioè quella memoria che permette di ricordare precedenti esperienze nel modo in cui le si è vissute; è una memoria che fa riferimento ad episodi storici, è relativa ad esemplari specifici (non categorie generali) e può riguardare sie ricordi belli che ricordi brutti. E' una memoria che corrispendo alla "memoria autobiografica", riguardante eventi con cui il soggetto è venuto in contatt direttamente. Questa memoria episodica (riguardante il ricordare), si contrappone alla memoria semantica (riguardante la consapevolezza di sapere).

giovedì 7 dicembre 2006

OSSITOCINA E AUTISMO
La notizia è stata data all’annuale convegno dell’American College of Neuropsychopharmacology (http://www.acnp.org/default.aspx?Page=Home): opportune dosi di ossitocina, quando somministrate per via intranasale o endovenosa, possono avere significativi effetti su pazienti autistici adulti. La sperimentazione ha avuto buoni risultati anche nel migliorare la capacità di dare un significato emotivo al linguaggio.

Foto di Numismatic

"Gli studi effettuati sugli animali hanno mostrato che l’ossitocina svolge un ruolo importante in molti comportamenti, tra cui le relazioni a due tra genitore-adulto e adulto-adulto, la memoria sociale, la cognizione sociale, la riduzione dell’ansia e i comportamenti ripetitivi”, ha spiegato Jennifer Bartz, ricercatrice della Mount Sinai School of Medicine (http://www.mssm.edu/). Solo recentemente tuttavia è stata considerata la possibilità di somministrazione di questa sostanza, in particolare a soggetti autistici. Questi ultimi, infatti, sembrano mostrare sintomi connessi proprio con il sistema dell’ossitocina.Nel corso dello studio una coorte di soggetti affetti dal morbo di Asperger ha ricevuto dosi di pitocina (ossitocina sintetica) o un placebo (una soluzione salina) per un periodo di quattro ore. Nel corso di tale lasso di tempo i partecipanti sono stati monitorati con particolare interesse per verificare le eventuali variazioni dei comportamenti ripetitivi, tipici della patologia, tra cui il domandare/chiedere e il toccare. Sono stati così registrati cambiamenti clinici statisticamente significativi, con una rapida riduzione dei comportamenti ripetitivi nel corso della somministrazione, mentre non si è riscontato alcun effetto nel gruppo placebo, il che suggerisce un effettivo impatto sui sintomi. I ricercatori hanno poi indagato gli effetti dell’ossitocina sulla cognizione sociale. I pazienti autistici sono spesso incapaci di percepire o leggere gli stati emotivi degli altri mediante espressioni facciali e vocali, con il risultato di una riduzione nella capacità di interazione col prossimo.Anche in questo caso si sono avuti risultati interessanti: dai test è emerso come i soggetti riuscissero a migliorare la capacità di dare un significato emotivo al linguaggio.

A mio parere è fondamentale sostenere questa nuova direzione di ricerca in quanto sembra orientata al problema principale del disturbo in questione. Le caratteristiche fondamentali del Disturbo Autistico, infatti, riguardano la menomazione dell'interazione sociale, quella della comunicazione e quella del comportamento. Questa ricerca è di grande valore; c'è un passo significativo in avanti. Altre ricerche saranno ovviamente necessarie al fine di migliorare, per quanto possibile, l'esistenza di tali soggetti. Per ulteriori approfondimenti suggerisco i seguenti indirizzi:

www.angsaonlus.org/ossitocina.html

www.psicoanalisi.it/psicoanalisi/scienza_news/news/scienza_news_1119.htm

www.molecularlab.it/news/view.asp?n=4687

FIGLI VIZIATI A RISCHIO SEPARAZIONE Pietro Fornari ( http://www.macrolibrarsi.it/autore.php?aid=3323 ), psicoterapeuta e collaboratore della rivista Riza psicosomatica http://www.riza.it/, affronta uno dei problemi più frequenti, ai giorni nostri, in ambito di relazioni di coppia. Non riuscire a staccarsi dalla madre in cui si è adagiati. Rinunciare agli agi è difficile e il malessere che ne deriva si somma ai disagi della coppia.

Foto di Sorryso

A volte il rapporto che ha dato la vita impedisce di viverla. Si parla dell’eccessiva presenza materna nella psiche e nelle abitudini quotidiane del figlio o della figlia che si sposa o che va a convivere. Una presenza dovuta a un rapporto madre/figlio intensissimo da sempre, con una comunicazione e un’interrelazione pressoché continue e con una caratteristica peculiare: l’unidirezionalità dello scambio, che va dalla madre verso il figlio. C’è tutta una serie di comportamenti che riconosciamo come “l’atmosfera del figlio viziato”. La madre dà disponibilità di tempo e di presenza immediati per proteggere il figlio/a e supportarlo sia nelle cose pratiche che a livello emotivo. Il figlio arriva così a sposarsi senza aver mai messo un dito nelle faccende domestiche e pratiche del quotidiano, essendo sempre stato al centro di un’attenzione continua e globale, senza aver mai affrontato particolari responsabilità, fatta eccezione per il lavoro, al quale ha potuto dedicare tutto se stesso proprio perché c’era chi si occupava di tutto il resto. Ma il figlio non percepisce questo rapporto con la madre come un problema, anzi è in totale sintonia con esso. Adagiato comodamente in questo comodo grembo scopre, con la convivenza stretta, che il partner non è la mamma. L’altro esiste con le sue caratteristiche e i suoi bisogni. Sapranno condividere? Fare rinunce o modificare abitudini? Molti non ce la fanno. Si sentono spaesati e abbandonati. Scatta così la voglia di “tornare dalla mamma”. Eppure quella crisi di coppia è un’enorme possibilità di uscire dal grembo, di diventare adulti. Bisogna imparare a riconoscerla per prenderla al volo. Ne va di tutta l’esistenza.

A mio parere è necessario distinguere tale rapporto esclusivo madre- figlio dalla più comune e conosciuta presenza attiva di madre o suocera nel rapporto di coppia. Infatti, nell'articolo presentato, si parla di un problema prettamente psicologico, psico-dinamico. La presenza materna di cui parliamo richiama uno schema psichico che può a tutti gli effetti definirsi ombelicale, in cui cioè la mamma fornisce un'assistenza totale al vivere del figlio, proprio come se questo fosse ancora un lattante. Questo, come tanti altri, è un tipico problema della società odierna in cui i figli raggiungono solo in età avanzata la responsabilizzazione della propria esistenza. In Psicologia clinica si parla di "Sindrome di Peter Pan", problema sempre più frequentemente oggetto di analisi in psicoterapia. In tale contesto il trattamento è rivolto al recupero del proprio ruolo per entrambi i partecipanti la relazione: il figlio dovrebbe arrivare a scoprire ed apprezzare il piacere adulto delle responsabilità; la madre dovrebbe riscoprire il proprio piacere di essere donna con altri interessi personali e sociali che siano indipendenti dal figlio.

Per ulteriori approfondimenti suggerisco i seguenti indirizzi:

http://www.corriere.it/Rubriche/Salute/Psicologia/2006/06_Giugno/26/peter_pan.shtml

http://digilander.libero.it/cianrabbi/Psico-miti5.htm

martedì 5 dicembre 2006

REALTA' O FAVOLA? SI DISTINGUE A 4 ANNI
Una ricerca condotta dagli esperti americani delle università del Texsas e della Virginia e pubblicata sulla rivista "Child Development", è arrivata a concludere che i bambini, fin da piccolissimi, sono in grado di distinguere tra realtà e fantasia e, a differenza di quanto generalmente si pensa, non credono a tutto ciò che sentono dire dagli adulti.

Foto by: Biblioragazzi

Per tutti quei genitori che temono di spaventare i loro bambini raccontando loro storie troppo avventurose o mostrando loro immagini troppo "reali", nuove scoperte oggi sostengono che le loro paure sono infondate. In particolare gli esperti hanno condotto la ricerca su bambini dai 3 ai 6 anni, periodo durante il quale i bambini sono sottoposti a flussi continui di stimoli e di informazioni e nel quale imparano, ogni giorno, una grande quantità di cose nuove attraverso libri, tv, giochi e colloqui con i genitori. E' un periodo nel quale entrano sia nel "mondo" della realtà, sia nel "mondo" della fantasia, ma è stato dimostrato che i bambini, fin da 4 anni, sanno discriminare bene tra i due "mondi" attraverso indizi provenienti sia dal comportamneto degli adulti (espressione del volto, tono della voce, movimenti con il corpo..) sia dalla realtà a loro circostante. E' facile quindi che il bambino sappia beneissimo quando qualcosa è reale e quando quealcosa, invece, non lo è, indipendentemente dal fatto che al bambino la fantasia e il fantasticare, non solo piace molto, ma gli è anche molto utile per crescere ed imparare.

A mio parere, questi risultati provenienti da diversi studi, altro non fanno che confermare quello che anche altre ricerche, in altri campi, hanno sostenuto, ovvero che il bambino piccolo non è così passivo e intellettualmente poco sviluppato come gli adulti sono soliti pensare. Anche le tante ricerche condotte sul linguaggio, infatti, portano alla conclusione che il bambino, sebbene privo di parola, sia comunque in grado di comprendere ciò che l'adulto comunica e di elaborare quanto capito. Spesso, invece, gli adulti, poichè lo vedono privo di linguaggio verbale, tendono a considerarlo come passivo e incapace di comprendere. I genitori e gli adulti in generale dobrebbero, secondo me, essere maggiormente informati su questo, così che possano meglio comprendere cio che realmente i babini sono in grado di fare e di pensare.

VERTIGINI D'ANSIA: FARMACI E PSICOTERAPIA
Il professore Gianpaolo Perna, psichiatra e responsabile del centro per disturbi d'ansia e Day Hospital Psichiatrico dell'ospedale San Rffaele Turro di Milano, sostiene che le sensazini di vertigini che i disturbi d'ansia possono portare, possono essere curate con farmaci anti depressivi accompagnate da sedute di psicoterapia cognitivo-comportamentale, una volta alla settimane, per un periodo che va dai sei agli otto mesi.

FOTO BY: Lory_78

A volte può capitare di provare la sensazione di perdere l'equilibrio, di sentirsi svenire e sembrare di cadere, anche se ciò, alla fine, non avviene. Questa sensazione è un classico disturbo d'ansia. E' stato scientificamente provato che le persone ansiose, presentano un minor senso dell'equilibrio, rispetto alle persone non ansiose. Così, quando le persone ansiose si trovano in luoghi affollati o in luoghi che li destabilizzano, si confonde loro la vista, faticano ad orientarsi e tutto questo porta un aumento dell'ansia accompagnata dalle vertigini: più si agitano, più dibentan ansiose e più presentano le vertigini.

Ciò che differenzia le vertigini d'ansia rispetto alle vertigini causate da altro, è che le vertigini d'ansia, sebbene sgradevoli, non fanno mai perdere realmente l'equilibrio, è solo una sensazione che il soggetto presenta, non una realtà. Nelle vertigini causate da altro, invece, oltre ad essere accompagnate da altri sintomi quali, nausea, vomito e incapacità di trattenere feci e urine, il paziente realmente presenta una perdita di equilibrio e, se non si appoggia a un sostegno, cada a terra.

A mio parere è molto importante distinguere l'ansia normale dall'ansia come disturbo emotivo: l'ansia normale infatti non è altro che un'emozione che prepare ed attiva l'organismo in situazioni viste comepericolose; l'ansia come disturbo emotivo, invece, consiste in uno stato d'allarme esagerato rispetto ai reali pericoli. Io credo che oggi molte persone affette da un disturbo d'ansia, lo sottovalutino e tendano a far rientrare tutti i loro disturbi d'ansia nella categoria dell'ansia ormale. Pochi riescono a riconoscere il loro disturbo come un vero disturbo da curare.

lunedì 4 dicembre 2006

IL BRANCO IN VIDEO Vittorino Andreoli (http://www.emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=228), psichiatra e scrittore, collaboratore del settimanale Io Donna (http://www.aseweb.it/arretrati/Io_donna.html), commenta gli atti di bullismo filmati, fenomeno estremamente attuale. Filmare un’aggressione e mostrarla su internet. Una nuova forma di violenza di gruppo che nasce anche dai nuovi modi di comunicarla.

Foto di Costanza_Bru

Un gruppo di studenti, a Torino, prende in giro e picchia un compagno di classe handicappato, riprende la scena e mette il filmato su internet. Tre ragazzi tra i 14 e i 16 anni, a Napoli, violentano un’amica tredicenne e riprendono la violenza con il telefonino. Nelle violenze di gruppo non esistono più solo due elementi, il branco e la vittima. Ce ne sono altri due: la ripresa video ed il pubblico di internet. Questo canale di distribuzione straordinario permette a chiunque di mostrare qualunque immagine senza alcun controllo. L’attrazione esercitata dall’idea di poter essere visti è irresistibile. E ovviamente essere visti mentre ci si comporta da bulli sembra essere più interessante dell’esserlo mentre si ripete la lezione di storia o si suona il flauto: la nostra società purtroppo , ha tolto qualunque fascino al bene. Molti adolescenti, inoltre, sono fan dei reality, che sono in crisi, certo, ma hanno convinto i ragazzi che chiunque può essere attore; che il gesto più banale può diventare spettacolo. Gli autori dei filmati non erano né frustrati né arrabbiati, volevano solo divertirsi. La scuola non è riuscita a svolgere il suo compito: educare, insegnare il rispetto per l’altro. E’ diventata una specie di Cinecittà. Episodi come questi non si possono spiegare indagando la psicologia dei singoli, ma attraverso la psicologia sociale. In questi casi dovrebbe essere studiato il gruppo, l’ambiente in cui si vive. Che non è la singola famiglia, la scuola, la città, ma la società intera, una società di laissez-faire dove i principi esistono solo a parole.

A mio parere non si può pensare che semplicemente la proibizione da parte della'adulto di tali atteggiamenti possa contribuire a risolvere il problema. Credo che tale atteggiamento rischi addirittura di alimentare il fenomeno. L'adolescenza è un periodo dello sviluppo caratterizzato dalla ricerca costante della propria identità. Il bisogno di appartenenza, il desiderio di essere accettati e stimati porta il ragazzo a trasgredire le regole sociali nel tentativo di attirare l'attenzione. E' fondamentale creare una cultura dell'accettazione dei propri limiti morali e fisici così che il ragazzo sia meno condizionato e attratto da comportamenti estremi. E' inoltre estremamente importante formare il giovane in un contesto di condivisione di esperienze con il diverso, con il diversamente abile. E' necessario, infine, educare gli adulti, insegnanti e famiglie, a premiare e gratificare i buoni ed a punire i cattivi; bisogna che gli adulti, modello di imitazione per i giovani, diano il buon esempio.

FATTA SOLO PER LE PERSONE AUTISTICHE Dal sito http://www.superando.it/, editoriale di attualità, sappiamo che è stata inaugurata il 2 dicembre a Settimo Milanese la comunità alloggio Villa Sacro Cuore, struttura progettata esclusivamente per le persone affette da sindromi artistiche . Un’iniziativa promossa dalla Fondazione Istituto Sacra Famiglia in collaborazione con L’ANGSA Lombardia ( Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici).

Foto di KoAn

L’inaugurazione a Settimo Milanese (presso Palazzo Granaio , Largo Papa Giovanni XXIII ) costituisce un momento molto significativo in ambito di autismo. Si tratta infatti della prima struttura del genere in Italia che ospiterà soltanto persone affette da sindromi autistiche, per le quali è stata specificamente progettata. Sebbene oggi la scienza non abbia ancora scritto la parola fine nella ricerca delle cause che generano questo problema (del quale in Italia sono affette circa 160.000 persone) quel che è certo è che la comunità alloggio sembra essere una tra le risposte più adeguate ad esso, perché prevede tempi e modalità di interventi personalizzati. Cosa sarà di mio figlio dopo di me? Una domanda che i genitori si rivolgono quasi ossessivamente, senza avere però risposte adeguate. “Una certezza però c’è” , affermano i promotori della nuova struttura di Settimo Milanese, “se, cioè, viene garantito un contesto di vita stabile e organizzato, affettuoso, tollerante ma stimolante, e animato da una costante tensione abilitativa, le persone autistiche sono in grado di percorrere un importante cammino di crescita, con un conseguente sviluppo di capacità e competenze utili a condurli verso più elevati livelli di autonomia e indipendenza”. E proprio su queste linee intende muoversi la nuova comunità (Via Stelvio, 6, Settimo Milanese), la cui inaugurazione si inquadra in una serie di appuntamenti musicali, artistici e teatrali.

Credo sia importante non sottovalutare eventi come quello appena segnalato in quanto la partecipzione attiva di un vasto pubblico, direttamente coinvolto o meno in tale problematica, funziona certamente da stimolo per quanti sono impegnati attivamente per la realizzazione di strutture valide. malgrado negli ultimi anni in Italia siano stati stanziati notevoli fondi ( http://www.angsaonlus.org/) per la ricerca, l'Autismo ha ancora cause sconosciute e soprattutto è un disturbo ancora privo di cure specifiche ( tranne alcuni psicofarmaci). Per quanti fossero interessati a simili iniziative propongo di visitare i seguendi siti:

http://autismo.inews.it/

http://www.disabili.com/content.asp?L=1&idMen=430

http://www.irpiniautismo.it/farm.htm

http://autismo.oltreilmuro.com/?cat=3

domenica 3 dicembre 2006

DISTURBI D'ANSIA E REALTA' VIRTUALE

(foto by jeff)
Paola Deriard (paoladery@yahoo.it), laureanda in "Psicologia dello Sviluppo e della Comunicazione" presso l'Università Cattolica di Milano, il 14 Dicembre discuterà la tesi "La Comunicazione terapeuta-paziente in realtà virtuale: analisi delle differenze tra un caso di successo e uno di insuccesso". La dott.ssa spiega i vantaggi della terapia virtuale nella cura dei disturbi d'ansia.
L'esposizione agli stimoli temuti, in un contesto protetto, è un grande vantaggio per un soggetto con disturbi d’ansia, non solo poiché egli si sente meno minacciato dagli eventi, ma perché la situazione che viene creata, può essere adattata in base al percorso terapeutico del paziente e si può presentare più volte un certo contesto che necessita di essere superato.
La realtà virtuale permette di minimizzare i tempi al massimo, lasciando il paziente in compagnia del terapeuta, il quale vede esattamente ciò che sta sperimentando e può, ogni volta lo ritenga necessario, cambiare lo scenario che si presenta.
Il cambiamento che si nota nel trattamento dei soggetti, è dovuto al miglioramento della loro percezione di abilità che scoprono durante la terapia virtuale; più precisamente, potendo affrontare ogni volta che lo sentono necessario contesti temuti e potendo gradualmente modificarli per aumentare le proprie difficoltà, essi sperimentano in continuazione il senso del loro limite. Questo aiuta a rafforzare il loro desiderio di superarlo, ponendosi gradualmente in situazioni sempre più complesse per mettere alla prova le proprie abilità. Il terapeuta, d’altra parte, ha la possibilità di intervenire immediatamente nel caso il paziente mostri determinate reazioni fisiologiche dovute all’incontro con le sue paure, e di osservare in modo diretto, i cambiamenti e i miglioramenti del paziente che ha di fronte.

sabato 2 dicembre 2006

IRONIA.. O SARCASMO??

Pietro Fornari, medico e psicoterapeuta, collaboratore della rivista Riza Psicosomatica http://www.riza.it/, affronta il tema di confine tra ironia e sarcasmo. L’ironia se ben dosata è una risorsa, fa bene alla salute, ci fa sorridere della vita. Il suo contrario esprime solo cattiveria , nata da frustrazioni trascurate.

Foto di andrea fistetto

Il sarcasmo distrugge ciò che l’ironia farebbe sbocciare. Il confine è molto sottile ma percepibile. Quando qualcuno fa dell’ironia l’effetto sulla persona a cui è rivolta è quello di suscitare una risata, di stimolare una riflessione costruttiva, di farlo sentire guardato da occhi benevoli, quand’anche esprimano una critica. Quando invece fa del sarcasmo l’effetto sull’altro è quello di pungere, ferire la sua sensibilità, di farlo sentire svilito, oppure in colpa o in difficoltà e di provocare in tal modo in lui una qualche reazione che vada a vantaggio di chi pungola. L’ironia dunque , se ben dosata, è creativa e fa bene alla salute, insegna a guardarsi da fuori, libera dalle rigide identificazioni , sviluppa la consapevolezza. Il sarcasmo è sempre nocivo, mira a ferire l’altro, fissa al proprio ruolo, intacca l’autostima. Dietro un apparente umorismo , il sarcasmo maschera una vera lotta per la supremazia. E’ un modo per colpire l’altro per il quale si provano sentimenti di antipatia. Molti sarcastici sono convinti realmente di essere ironici, ma in questo modo danneggiano se stessi e gli altri. Il sarcastico è dentro fino al collo nella situazione che prende di mira, la prende troppo sul serio, ne ha una visione alterata e parziale, non riesce a criticarla in modo costruttivo per cui utilizza la “frecciata” pseudo-ironica che otterrà solo un peggioramento delle cose. Chi si serve del sarcasmo in realtà vuole solo liberarsi di un peso interiore che non riesce ad esternare se non in quell’unico modo certamente non costruttivo.

Già Freud nel suo saggio "Il motto di spirito" pubblicato nel 1905, sosteneva che l'autore di una battuta ironica formula un'idea attraverso il codice linguistico dei processi primari (come se stesse sognando ad occhi aperti). Tale idea viene poi espressa palesemente attraverso il linguaggio verbale naturale, processo secondario o cosciente. L'ascoltatore che decodifica tale messaggio opera il processo inverso: dall'"immagine" verbale egli scende, automaticamente o inconsapevolmente, al suo contenuto primario o inconscio. Ciò che provoca il riso è il contenuto inconscio, e palesemente opposto a quello manifesto, espresso attraverso l'"immagine" verbale. L'ironia è certamente un espediente liberatorio usato in molteplici situazioni per allentare la tensione, divertire.... ma questa pratica può anche assumere una veste diversa, pungente. Infatti, dietro un apparente umorismo può mascherarsi un fastidioso sarcasmo che, a lungo andare, mina i rapporti interpersonali. Il sarcasmo nasconde in sè un vero e proprio bisogno di emergere, di mettersi in mostra; è un modo per colpire l'altro, per ferirlo, e può nascondere sentimenti di vero e proprio odio.

LA DELFINOTERAPIA Nell'ambito della delfinoterapia il contributo della dottoressa Marina Giuseppini ( http://www.ciaopet.com/risorseSottoSezioneH.asp?IDSottoSezione=1289 ) , psicologa e presidente della S.I.T.A.C.A., Società Italina Terapie e Attività Con Animali (http://www.itaca-pet-therapy.com/statuto.htm ) è importantissimo per comprendere la complessa serie di utilizzi del rapporto uomo-animale in campo medico-psicologico.

Foto di Cinese

“L’occhio di un delfino riesce ad essere così simile a quello dei tuoi simili da farti dimenticare , per un attimo, di essere e di sentirti diverso. E allora puoi galleggiare con lui , e ti accorgi che lui fa qualcosa di più che seguirti e basta: nuota con te, accanto a te, come un delizioso compagno di viaggio”. Nella storia dell’uomo l’animale costituisce non solo un aiuto essenziale per la sopravvivenza , ma anche uno stimolo costante sul piano emotivo e immaginativo. Questo ci porta alle radici istintuali del nostro essere, ci aiuta a mantenere vivo il contatto con la ricchezza, la creatività, la spontaneità di un mondo interiore non soggiogato al rigore della logica o al conformismo delle convenzioni. E’ accertato che i delfini hanno contribuito a salvare persone in procinto di annegare e, sebbene siano animali selvatici, hanno dimostrato la capacità di interagire in modo amichevole, sensibile e giocoso con gli esseri umani. Studi effettuati fin dagli anni ’70, soprattutto negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Francia hanno dimostrato che ragazzi autistici o con problemi di comunicazione e apprendimento , adulti depressi , anziani istituzionalizzati, hanno ottenuto sorprendenti benefici da progetti educativi e terapeutici che prevedevano il rapporto con i delfini. I vissuti emotivi riferiti più spesso sono gioia, serenità, fiducia persistenti. Sembra che i delfini siano in grado di rompere l’isolamento presente nell’autismo. Bambini che spesso, nelle sedute tradizionali, sono assenti e ignorano il terapeuta, in vasca non solo seguono costantemente i delfini con lo sguardo , ma sono in contatto anche con l’operatore e ne seguono prontamente le indicazioni. La situazione rilassata e serena , insieme con il fatto che l’animale sia percepito come semplice compagno di gioco, anche se un po’ speciale , spiegano in parte questi comportamenti.

Ritengo interessante segnalare pratiche terapeutiche alternative come la delfinoterapia, tecnica non ancora diffusa in Italia che richiede professionisti formati in modo specifico e strutture adeguate. Oltre ai tradizionali problemi di comunicazione, questa pratica si è rivelata particolarmente utile per la cura di una molteplicità di patologie quali: malati terminali, paraplegici, persone che hanno patito gravi amputazioni, ragazzi ciechi e sordociechi. I delfini mostrano una straordinaria sensibilità attraverso cui riescono a comunicare come pochi altri con l'uomo. La delfinoterapia è da tempo utilizzata in USA, in Russia, in Israele, dove ci sono da tempo strutture deguate e funzionali.

Per ulteriori informazioni segnalo i seguenti indirizzi:

http://www.dolphinsplus.com/

http://www.fortunecity.com/boozers/coachandhorses/94/curiosita.html

venerdì 1 dicembre 2006

CONTRO LA DEPRESSIONE? "STUDIARE" FIN DALLE ELEMENTARI
Secondo Giovanni Fava, professore oridnario di psicologia a Bologna e di psichiatria all'University di New York Buffalo, la capacità, da adulti, di essere sereni e felici dipende tanto dall'educazione che viene data ai bambini, fin dalle scuole elementari.

Foto by: Zioncharlie

Il professore Fava ha effettuato un progetto per aiutare i giovani italiani, riunendo attorno a se ricercatori quali Chiara Ruini, Carlotta Belaise, Chiara Brombin ed il professor Ernesto Caffo. Con questo progetto e in seguito a diversi studi, sono arrivati alla conclusione che poche ore di "psicologia del benessere" in aula, permettano, anni dopo, durante la vita adulta, maggior equilibrio e una maggio serenità mentale. Sono quindi arrivati alla conclusione che, aumentare il benessere nei primi anni di una persona, permette poi alla persona stessa di essere più resistente alle circostanze avverse in un futuro, permette di affrontare con maggior forza stress, conflitti e ansie di diverso tipo.

Questo progetto e questi studi seguiti da Fava e coll. hanno utilizzato come esempio un metodo adottato gia negli Stati Uniti, metodo poggiante su un modello di benessere ideato dagli studiosi Carol Ryff e Burton Singer, i quali hanno precisato e constatato cosa serve agli esseri umani per essere felici: per essere felici nel futuro, bisogna fin da bambini presentare relazioni positive con gli altri, auto-accettazione, forza di carattere e padronanaza ambientale. Queste come basi per un futuro sereno.

A mio parere questo progetto e gli studi ad esso associati sono molto utili soprattutto perchè segnalano l'importanza fondamenteale che l'infanzia e i primi anni di vita hanno sull'intera vita della persona (teoria sul quale la psicologia batte molto). In questo caso in particolare si tratta del benessere, ma si può benissimo notare come tanti altri fattori presenti nella nostra vita da bambini, infuenzino poi la nostra vita da adulti: il legame di attaccamento con i genitori, i traumi vissuti, le modalità educative, le esperienze vissute, sono tutti variabili intervenienti poi nella nostra vita futura.

ANIMALI: GRANDI AMICI DELL'UOMO!
Secondo Fernando Ferrauti, psicoterapeuta e direttore del "Dipartimento disagio, devianza, dipendenze" della ASL di Frosinone, la relazione che si viene ad instaurare tra uomo e animale è importantissima a tutte le età e per diversi aspetti della nostra vita.

Foto by: Yukari

Secondo Ferrauti, l'animale domestico, inquanto essere vivente e non oggetto passivo, viene ad assumere ruoli molto importanti e diversi a seconda dell'età. Sebbene la presenza di un animale porti serenità e benessere a chiunque, i due soggetti che maggiormente traggono beneficio dal rapporto con l'animale sono il bambino e l'anziano.

Per quanto riguarda il BAMBINO, il rapporto che esgli instaura con l'animale costituisce un'importante opportunità di crescita e di formazione. Cerscendo con l'animale, infatti, il bambino, verrà ad assumere ruoli diversi via via che l'animale cresce con lui: il bambino sperimenterà il ruolo di genitore quando si troverà ad accudire il cucciolo di animale; si troverà, invece, a sperimentare il ruolo di coetaneo nell'infanzia di entrambi ed, infine, si troverà nel ruolo di figlio quando il cane sarà vecchio e necessiterà di cure ed attenzioni. La stessa morte dell'animale costituirà per il bambino una piccola prova, equivalente alle grandi prove dolorose che la vita gli riserverà.

Discorso completamente diverso va fatto per l'ANZIANO. Per quest'ultimo la presenza di un animle domestico è utile principalmente per tre aspetti: il primo aspetto è quello relazionale. L'anziano, infatti, portando a passeggio l'animale, ha la possibilità di conoscere e socializzare con altri padroni di alrtri animale, fronteggiando così il senso di solitudine ed emarginazione a cui spesso si sente sottoposto. Il secondo aspetto è quello intellettivo: l'anziano, curandosi dell'animale deve ricordarsi una serie di routine quotidiane (dargli da mangiare, portarlo a passeggio, dargli medicine se malato) indispensabili per la sopravvivenza dell'animale, routine che gli permettono di tenersi allenato a livello mentale. Il terzo aspetto consiste semplicemente nel fatto che l'animale riempie le giornate, spesso vuote, dell'anziano, riempiendogli la vita.

A mio parere è importante sottolineare che l'animale non solo aiuta a vivere meglio la nostra quotidianità, ma, in ambito più specialistico, può addirittura servire come terapia, all'interno della "pet terapy" (http://dns.tex.izs.it/pet_therapy/quattro.htm) : la "pet terapy" altro non è che il complesso utilizzo del rapporto essere umano-animale in campo medico e psicologico. Gli animali che vengono abitualmente coinvolti nella "pet terapy" sono: cani (http://www.anucss.org/), gatti, criceti, conigli, asini, capre, cavalli, uccelli e delfini. Secondo me è inevitabile dire che ogni animale sia un bene prezioso.