lunedì 4 dicembre 2006

IL BRANCO IN VIDEO Vittorino Andreoli (http://www.emsf.rai.it/biografie/anagrafico.asp?d=228), psichiatra e scrittore, collaboratore del settimanale Io Donna (http://www.aseweb.it/arretrati/Io_donna.html), commenta gli atti di bullismo filmati, fenomeno estremamente attuale. Filmare un’aggressione e mostrarla su internet. Una nuova forma di violenza di gruppo che nasce anche dai nuovi modi di comunicarla.

Foto di Costanza_Bru

Un gruppo di studenti, a Torino, prende in giro e picchia un compagno di classe handicappato, riprende la scena e mette il filmato su internet. Tre ragazzi tra i 14 e i 16 anni, a Napoli, violentano un’amica tredicenne e riprendono la violenza con il telefonino. Nelle violenze di gruppo non esistono più solo due elementi, il branco e la vittima. Ce ne sono altri due: la ripresa video ed il pubblico di internet. Questo canale di distribuzione straordinario permette a chiunque di mostrare qualunque immagine senza alcun controllo. L’attrazione esercitata dall’idea di poter essere visti è irresistibile. E ovviamente essere visti mentre ci si comporta da bulli sembra essere più interessante dell’esserlo mentre si ripete la lezione di storia o si suona il flauto: la nostra società purtroppo , ha tolto qualunque fascino al bene. Molti adolescenti, inoltre, sono fan dei reality, che sono in crisi, certo, ma hanno convinto i ragazzi che chiunque può essere attore; che il gesto più banale può diventare spettacolo. Gli autori dei filmati non erano né frustrati né arrabbiati, volevano solo divertirsi. La scuola non è riuscita a svolgere il suo compito: educare, insegnare il rispetto per l’altro. E’ diventata una specie di Cinecittà. Episodi come questi non si possono spiegare indagando la psicologia dei singoli, ma attraverso la psicologia sociale. In questi casi dovrebbe essere studiato il gruppo, l’ambiente in cui si vive. Che non è la singola famiglia, la scuola, la città, ma la società intera, una società di laissez-faire dove i principi esistono solo a parole.

A mio parere non si può pensare che semplicemente la proibizione da parte della'adulto di tali atteggiamenti possa contribuire a risolvere il problema. Credo che tale atteggiamento rischi addirittura di alimentare il fenomeno. L'adolescenza è un periodo dello sviluppo caratterizzato dalla ricerca costante della propria identità. Il bisogno di appartenenza, il desiderio di essere accettati e stimati porta il ragazzo a trasgredire le regole sociali nel tentativo di attirare l'attenzione. E' fondamentale creare una cultura dell'accettazione dei propri limiti morali e fisici così che il ragazzo sia meno condizionato e attratto da comportamenti estremi. E' inoltre estremamente importante formare il giovane in un contesto di condivisione di esperienze con il diverso, con il diversamente abile. E' necessario, infine, educare gli adulti, insegnanti e famiglie, a premiare e gratificare i buoni ed a punire i cattivi; bisogna che gli adulti, modello di imitazione per i giovani, diano il buon esempio.

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