Quale effetto potrà avere sul pubblico la visione della fiction sulla vita di Totò Riina, "Il capo dei capi", di cui è andata in onda sulle reti Mediaset la prima puntata con uno straordinario successo di pubblico: 7 milioni e 146mila spettatori. Sulla confezione del prodotto nulla da dire: storia avvincente e ben recitata. Nella prima puntata per gli esordi delinquenziali del giovane mafioso è stata usata una chiave sociologica che può apparire "giustificazionista": alla morte accidentale del padre, provocata dallo scoppio di un ordigno che il genitore povero stava cercando di smontare per cavarci qualche soldo vendendo le polveri, il piccolo e già saggio Totò afferma che «assassino non fu l'ordigno ma la fame che spinse a maneggiarlo». Ineccepibile contestualizzazione: sono la fame e l'ignoranza il terreno di coltura della mafia. Tuttavia non è possibile non guardare con indulgenza al piccolo Totò colpito da una sfortuna così perfetta. Ancora: il giovanissimo futuro "capo dei capi" trascina il suo magro asinello, con il poco frumento che le sue arse terre hanno saputo dare, fino al mulino per trasformarlo in farina. Chi trova? Un torvo e cattivissimo mugnaio che gli ruba la farina e, scoperto sul fatto, lo copre di violente soperchierie. Cosa fareste voi al posto del piccolo Totò? È chiaro: gliela fareste pagare, al torvo mugnaio. E il mugnaio pagherà, con la vita, in un duello "leale". Tenerissimo, poi, e platonicissimo, come si addice a personcina casta e pura, l'amore del Totò giovanotto con una bella e castissima giovanotta. Aspettiamo di conoscere gli sviluppi nelle puntate a venire. Ci permettiamo, però, di porre una domanda: siamo proprio sicuri che il pubblico più vasto e più distratto, più giovane e meno motivato, riesca a identificare nel Totò Riina della fiction quel sanguinario capo mafioso che ammazzò o fece ammazzare decine di persone e saltare per aria Falcone e Borsellino? O piuttosto quel pubblico non corre il rischio di assistere alla narrazione con lo stesso stato d'animo con cui assisterebbe ai film di Coppola, parteggiando magari per il "padrino"? So bene quale sia l'obiezione di fronte a questa domanda: il pubblico è adulto e sa distinguere. Ma la psicologia sociale ha dimostrato che esistono fasce molto larghe di pubblico, le più fragili culturalmente e socialmente, che non sempre sono in grado di distinguere. E allora deve distinguere la tv che si insinua pervasivamente nelle case di tutti. Soprattutto dei più deboli. Perché una cosa è andare al cinema scegliendo di vedere "il Padrino", una cosa è trovarsi in casa Totò Riina con la faccia simpatica dello sfortunato figlio di Sicilia.
venerdì 2 novembre 2007
LA SFORTUN A DI TOTO’ FA DIMENTICARE RIINA
Da che è entrata nelle nostre case la tv sono passati parecchi decenni e oggi non occorre un master in psicologia delle comunicazioni sociali per comprendere che quell'elettrodomestico è uno strumento potentissimo di orientamento culturale, politico e comportamentale.
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1 commento:
Completamente d'accordo sull'idea di questo post.
L'identificazione viene automatica, poi di un personaggio messo in buona luce dal regista, che sembra essere torturato dalla sfortuna:
Qualche paesano di Rina potrebbe imedesimarsi nelle stesse sfortune arrivando a giustificare le proprio azioni, qualsiasi esse siano dato che anche lui nella stessa condizione era persona povera.
L'argomento è vecchio come il mondo, l'attenzione su quello che si fa veere in tv dovrebbe essere controllato 1000 volte ed invece con troppa facilità escono dei programmi che non sono ne adeguati ne tanto meno controllati, nei loro contenuti ne sulle eventuali conseguenze che posso portare ad un pubblico incapace di autogestirsi.
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